Cass., n. 26892, del 9 novembre 2014 Il recesso per gravi motivi nella locazione e la pubblica amministrazione

Ogni qualvolta si parla di “recesso nel contratto di locazione” si deve in primo luogo ricordare che il nostro ordinamento giuridico non prevede vincoli contrattuali aventi durata illimitata, riconoscendo alle parti la possibilità di apporre un termine finale alla durata dei rapporti contrattuali ovvero affiancando – in altri casi – al termine naturale anche la possibilità per una delle parti di “liberarsi” dal vincolo contrattuale unilateralmente attraverso appunto l’istituto del recesso.

Il recesso è regolato dall’art. 1373 c.c. il quale prevede che “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita. E’ salvo in ogni caso il patto contrario”.

Tale norma, almeno per i contratti di durata (esecuzione continuata o periodica), prevede che il recesso possa essere “riconosciuto” ad una o ad entrambe le parti attraverso una specifica clausola negoziale ovvero ammette la possibilità di subordinare l’esercizio del diritto al pagamento di un corrispettivo.

Tale previsione risponde ad una precisa finalità economica: tutelare l’interesse della parte che subisce il recesso a non esser costretta a stipulare, ex novo, un altro contratto con una diversa controparte.

Per ciò che concerne le modalità con le quali può esercitarsi il diritto di recesso, in mancanza di indicazioni legislative, il soggetto “dichiarante” può essere o una delle parti contrattuali (quale titolare del relativo diritto potestativo) ovvero un suo rappresentate purché però la relativa dichiarazione venga effettuata in forma scritta.

Oltre alla disciplina di carattere generale (1373 c.c.) si segnala tuttavia l’esistenza di discipline di carattere speciale che possono derogare o integrare le norme generali, come nell’ipotesi del recesso del conduttore nei contratti di locazione ex art. 4 della legge n.392/78 : “È in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, con lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione. Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

Ancora, altra norma che regola il recesso del conduttore con riferimento però alla locazioni commerciali è l’art. 27 della suddetta legge n. 392/78. Tale disposizione prevede che “é in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione. Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

E’ dunque possibile che le parti si accordino prevedendo per il conduttore la facoltà di recedere in qualsiasi momento (l’art. 4 e 27 statuiscono infatti che: “è facoltà delle parti consentire che il conduttore possa recedere”), così come è possibile che le parti si accordino escludendo qualsiasi possibilità di recesso a favore del conduttore ovvero che il contratto addirittura nulla preveda al riguardo.

In tale ultima ipotesi – ritenuta quella tipica in mancanza di espressa previsione contrattuale – il legislatore tuttavia prevede la possibilità per il conduttore di recedere – in ogni caso – qualora ricorrano “gravi motivi”.

Si comprende dunque come le parti del contratto di locazione godano di un’ampia autonomia potendo le stesse regolarsi secondo la modalità che prediligono (ammetterlo sempre, escluderlo sempre), salva in ogni caso la possibilità che il legislatore riconosce al conduttore di recedere dal contratto di locazione dando un preavviso di almeno sei mesi qualora sussistano gravi motivi

Ovviamente, i problemi che si pongono sono due: 1) determinare il “momento” esatto in cui si manifesta il grave motivo; 2) stabilire cosa concretamente si intende per grave motivo .

Sul punto ha avuto modo ci pronunciarsi in più occasioni la giurisprudenza di merito e di legittimità la quale è concorde in modo pressoché unanime ( sul punto cfr Tribunale di Udine, Sezione II Civile, Sentenza 15 maggio 2013, n. 638; Cass. Sez. III, 17 gennaio 2012, n. 549; Cass. Sez. III, 13 dicembre 2011, n. 26711; Cass. 11 marzo 2011 n. 591; Cass. Sez. III, 20 marzo 2006, n. 6095; Cass. Sez. 3^, n. 15620 del 2005) nel ritenere che “... i gravi motivi che.... indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consentono in qualsiasi momento il recesso del conduttore dal contratto di locazione, devono collegarsi a fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto “

I gravi motivi dunque devono in primo luogo esser determinati da fatti estranei alla volontà del conduttore (Esempio: Il conduttore viene trasferito per motivi di lavoro da una città all’altra). In relazione a tale requisito si evidenzia che il comportamento del conduttore deve essere consequenziale a fattori obbiettivi, ma non esser volontario.

Pertanto se ad esempio il conduttore è un imprenditore commerciale, per far si che ricorra il requisito dell’estranietà occorrerà che via sia l’impossibilità di operare scelte di adeguamento strutturale dell’ azienda – ampliandola o riducendola _ al fine di renderla rispondente alle sopravvenute esigenze di economicità e produttività manifestatesi dalle richieste di mercato.

Ancora, i gravi motivi dovranno essere imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto (Esempio: l’inquilino viene colpito da problemi di salute permanenti o comunque duraturi a tal punto da rendere l’unità immobiliare non conforme agli usi).

Ed, infine, i gravi motivi devono rendere al conduttore gravosa la prosecuzione del rapporto di locazione. E’ in ogni caso fondamentale sottolineare che “il controllo” in merito alla sussistenza dei gravi motivi dovrà esser effettuato non in astratto, ma con riferimento all’’attività concreta svolta dal conduttore.

Naturalmente, qualora si verifichi un evento che integri i gravi motivi di recesso, la fine del contratto di locazione non sarà automatica, ma occorrerà in ogni caso un atto d’impulso da parte del conduttore.

In particolare questi, dovrà manifestare al locatore, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, il grave motivo per cui intende recedere dal rapporto contrattuale, senza dover anche spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale scelta è fondata, né tantomeno dovrà fornirne la prova in quanto a tali attività si procederà solo in caso di contestazione da parte del locatore. (sul punto cfr. Cass. 12 novembre 2003 n. 17042, 20 marzo 2006 n. 6095).

Trattandosi di recesso “titolato”, la giurisprudenza di merito e di legittimità è concorde nel ritenere che in ogni caso, i gravi motivi debbano essere menzionati precisamente nella disdetta a pena di inefficacia della comunicazione stessa (cfr. Trib. Trani 3 marzo 2009 n. 1297). Tale requisito, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul punto fattuale o la loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (cfr. Cass. 29 marzo 2006 n.7241).

Pertanto, qualora il locatore dovesse avanzare dei dubbi in merito alla reale sussistenza dei motivi di recesso, e decidesse di convenire in giudizio il conduttore per l’esecuzione dell’intero periodo restante di contratto, allora ricadrebbe su quest’ultimo l’onere di provare la reale fondatezza e la gravità dei motivi.

Occorre, infine, sottolineare che le suddette “regole” si applicano anche nel caso in cui parte del rapporto di locazione è la pubblica amministrazione (si pensi ad esempio ad un comune che stipula un contratto di locazione) in virtù del consolidato principio secondo il quale quando la P.A. stipula un contratto di diritto privato – come un comune soggetto privato – essa è sottoposta alle stesse norme applicabili per le altre parti contrattuali.

In tal caso tuttavia, il grave motivo che consente alla P.A./ conduttore di recedere dal contratto di locazione stipulato, può ritenersi sussistente solo ove quest’ultima riesca a dimostrare che che per ragioni sopravvenute alla stipula della locazione – al fine di garantire la piena applicazione del principio di buona amministrazione (art. 97 Cost.) – non è più possibile proseguire la locazione. Si pensi, ad esempio, al caso di un Comune che dopo aver condotto in locazione un edificio per allocarvi una scuola, decide – visto l’aumento del numero degli iscritti – di far costruire un proprio immobile per trasferirci la scuola. Orbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto che tale ipotesi, non costituisce idoneo motivo di recesso dalla locazione, occorrendo di converso che detta scelta fosse stata determinata da un’esigenza oggettiva, imposta dal dover esercitare la funzione scolastica e dunque soddisfare l’interesse pubblico che ne è oggetto in modo più idoneo rispetto a quanto assicuri l’esercizio della funzione stessa in atto tramite l’utilizzo del bene condotto in locazione.

  • La Corte di cassazione con la sentenza 19 dicembre 2014 n. 26892 in relazione alla locazione di un immobile stipulata dal Comune per destinarvi una scuola, ha stabilito che qualora l'esecuzione dell'opera di un proprio immobile, per allocarvi la stessa scuola, sia terminata prima della scadenza convenzionale del contratto ed essa sia divenuta disponibile, non costituisce giusta causa di recesso dal contratto da parte del Comune.

    Il caso
    I giudici di secondo grado, hanno condannato l'ente locale al pagamento di una somma minore rispetto a quella riconosciuta dal primo giudice, in relazione a una domanda di risarcimento del danno esistente in un immobile che il Comune aveva restituito dopo averlo condotto in locazione; i giudici della Corte di Appello, inoltre, avevano dichiarato illegittimo il recesso del Comune dalla locazione e avevano condannato il Comune al pagamento del canone fino alla data oggetto del contratto.
    Avverso la sentenza sfavorevole, il Comune è ricorso in Cassazione.

    L'analisi della Cassazione
    I giudici di legittimità ricordano che, in via preliminare, la giurisprudenza di legittimità ha già statuito che «L'istituto del recesso del conduttore per gravi motivi si applica anche ai contratti di locazione stipulati come conduttori da enti locali territoriali».
    Ai fini dell'individuazione dei suoi presupposti quando il conduttore sia un ente locale ci si deve domandare se la particolare natura del conduttore e particolarmente lo scopo dell'ente, tanto più quando si tratti di un Comune e, dunque, di un ente esponenziale, ancora oggi depositario di una serie di funzioni pubbliche di primaria importanza e necessarie quanto al dover essere esercitate, connoti tali presupposti in modo diverso da come si debbono considerare con riferimento a qualsiasi conduttore, o meglio all'attività esercitata nell'immobile da qualsiasi conduttore.
    I giudici di legittimità osservano che, l'ente locale, pur con il rilievo dovuto alla sua peculiare qualità ai fini dell'esercizio del diritto di recesso si colloca pur sempre sul piano di un rapporto privatistico, di modo che comunque quella particolare posizione dell'ente, avendo esso utilizzato uno strumento privatistico, non può di per sé giustificare che la legittimità del recesso sia apprezzata dando rilievo soltanto al mero finalismo perseguito dall'ente locale, sebbene nella logica dell'adempimento delle sue funzioni.
    Ne segue che in linea generale valgono anche per l'ente locale conduttore, che vuole recedere anticipatamente, i principi generali individuati dalla giurisprudenza della Cassazione come presupposti legittimanti il recesso.
    La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, precisato che "In tema di recesso del conduttore dal contratto di locazione i gravi motivi di cui all'art. 27, ottavo comma, della legge 27 luglio 1978 n. 392, devono esser determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione".

    Le giustificazioni addotte
    I giudici di legittimità osservano che, nel caso in esame, è necessario verificare se la situazione addotta a giustificazione del recesso, da parte del Comune ricorrente, possa presentare elementi di legittimità.
    Per la Cassazione la risposta è negativa per l'elemento dell'estraneità della determinazione della "situazione oggettiva addotta a giustificazione del recesso ad una libera volizione del Comune, ad un comportamento del tutto volontario del medesimo". La decisione, rilevante sul piano dell'agire del Comune, di costruire un immobile da adibire a scuola e nel quale allocare la scuola che risultava allora allocata nell'immobile locato, è stata, infatti, certamente o almeno dev'essere considerata, una decisione frutto di una scelta libera e volontaria.
    In verità, va considerato che, rientrando nei compiti del Comune la provvista degli edifici per taluni tipi di scuola, la scelta sul modo di provvedere a riguardo da parte del Comune risultava possibile sia tramite allocazione in edifici che il Comune poteva prendere in locazione, come era accaduto per quello oggetto del contratto, sia attraverso edifici di sua proprietà, già appartenenti al suo patrimonio o da costruire e destinare allo scopo.
    Ne segue che la scelta del Comune, in presenza di una situazione nella quale l'allocazione della scuola nell'immobile locato rappresentava solo uno dei modi possibili di adempiere ad un compito imposto dalla legge, di adempiere invece in modo diretto, cioè attraverso un immobile da costruire ed acquisire in proprietà, risulta certamente un comportamento espressione di una libera volontà e determinazione del medesimo. Anche i modi di realizzazione ed attuazione della scelta compiuta in tal senso e, quindi, la decisione di affidare un appalto per la costruzione o meglio per l'ampliamento di un edificio già destinato ad una scuola media, e la determinazione dei tempi di realizzazione dell'opera furono espressione di una scelta del tutto libera del Comune.
    Tale scelta, essendo il Comune impegnato sul piano contrattuale in un rapporto locativo bene allora avrebbe potuto articolarsi in modo tale da assicurare che la realizzazione dell'opera terminasse quando sarebbe venuto a scadere il rapporto locativo, in modo da consentire la disdetta del contratto alla scadenza.
    Anche l'essersi verificata l'acquisizione dell'edificio all'esito dell'esecuzione dell'appalto nel dicembre del 1999 e la conseguente possibilità di allocarvi la scuola che era allocata nell'edificio oggetto della locazione è stata frutto di una scelta libera e volontaria del Comune, dovendosi ritenere che il completamento dell'appalto sia stato convenuto con l'appaltatore dal Comune.
    Ne discende che la situazione per cui il Comune aveva acquisito disponibilità di un immobile di sua proprietà mentre era ancora in corso il rapporto locativo è dipesa indubitabilmente da una scelta del tutto volontaria del Comune e tanto basta per escludere che ricorressero gli estremi della legittimità del recesso, perché la situazione creatasi per effetto della consegna dell'immobile e, dunque, la possibilità di allocarvi la scuola è dipesa solo da una scelta di quel tipo.

    Le conclusioni
    Il ricorso è, dunque, rigettato; per liberarsi dal pagamento dei fitti al Comune non basta eccepire in modo generico la necessità di evitare aggravi di spese che, peraltro, potrebbero essere addebitati agli amministratori locali; a monte c'è sempre la volontarietà della costruzione. La Corte di Cassazione respinge, pertanto, il ricorso compensando le spese di giudizio.

 

 

 

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